FONTI: ilGiornale.it; Eddyburg.it
di Carlo Lottieri
C’è qualcosa di sorprendente nell’ultimo saggio di Stefano Moroni, La città del liberalismo attivo, visto che si tratta di un volume sull’urbanistica che sposa una prospettiva liberale. Un dato caratteristico del nostro tempo, infatti, è il permanere in ambito urbanistico del mito del «piano», miseramente fallito in economia e anche nelle altre scienze sociali. Mentre oggi farebbe sorridere proporre piani di produzione quinquennali come quelli della Russia di Lenin o di Stalin, in larga parte dell’Occidente continuiamo a subire piani territoriali o paesaggistici comunque destinati a definire la gestione dei suoli: come se nulla fosse successo nell’ultimo secolo e come se il crollo delle società costruite dall’alto non avesse avuto luogo.
La forza della ricerca di Moroni muove dal suo voler essere un urbanista consapevole della complessità delle interazioni sociali. E non a caso nella sua riflessione egli riserva tanta attenzione a un economista come Friedrich von Hayek e a un filosofo del diritto come Bruno Leoni: entrambi assai netti nel rilevare che la vita produttiva e le relazioni sociali hanno certo bisogno di regole, ma che esse non devono essere il prodotto di una decisione calata dall’alto. Perché questo è l’argomento cruciale di chi, da liberale, si sforza di persuadere il proprio interlocutore della necessità di abbandonare le pretese totalitarie di quanti vogliono «governare la città» dimenticando che essa è veramente tale – lo spazio delle libertà e degli scambi – solo se non è governata da un sovrano o da un tecnocrate.
Moroni non propone di abolire i piani regolatori, Continua a leggere